Il 2020 non è stato un anno semplice da vivere per il mondo della ristorazione, insieme ai primi mesi del 2021, come lo stesso Carlo Cracco ha avuto modo di raccontare anche in occasione di una lunga intervista rilasciata al Messaggero. Il bilancio della crisi da pandemia per lo chef rivela la perdita di tre dipendenti ogni un dipendente su tre e non solo.
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In diverse occasioni abbiamo avuto modo di spiegare come il 2020 e parte del 2021 sono stati segnati da una crisi economica innescata dalla pandemia da Covid-19, a causa delle varie restrizioni che sono state imposte per la tutela della salute pubblica come nel campo della ristorazione tra chiusure, coprifuoco e anche distanziamento sociale.
A rompere il silenzio in tal senso, non a caso, è stato anche lo chef Carlo Cracco in occasione di una lunga intervista rilasciata a Il Messaggero ha avuto modo di spiegare il bilancio negativo che dell’anno appena trascorso segnato appunto dalla pandemia. Qui, infatti, lo chef ha dichiarato: “Ho perso un dipendente su tre. A febbraio dello scorso anno avevo 97 dipendenti, adesso una sessantina, ma con le prossime aperture il saldo potrebbe essere positivo”.
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L’obiettivo principale per i ristoratori italiani, e non solo, è quello di puntare alla rinascita del proprio business, adattarsi così a un nuovo modo di approcciarsi ai clienti e il cambiamento inevitabile nel mondo della cucina. Così come spigato dallo stesso Carlo Cracco: “Si salverà chi ha sempre lavorato sulla qualità e non sulla quantità”. In seguito, lo chef ha anche avuto modo di parlar della notorietà arrivata con le varie esperienze televisive affermando: “Io avvantaggiato dall’essere noto? Certo, sarebbe offensivo negarlo. Ma non basta. Ripeto: il punto è avere una visione”.
L’intervista rilasciata da Carlo Cracco, infine, si conclude con la seguente riflessione e il modo in cui ha deciso di rimettersi in gioco senza mai arrendersi e accogliendo ogni nuovo cambiamento: “Ti reinventi ogni giorno. Io non ho mai chiuso Cracco in Galleria. Abbiamo iniziato a produrre cibo da esporto. L’abbiamo fatto non per una questione di sopravvivenza ma di orgoglio”.
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