Mangiare tutti i giorni alcuni alimenti molto diffusi, soprattutto perché a basso costo, riduce a conti fatti l’aspettativa di vita nonché la sua qualità. Di quali si tratta.
Il modo in cui l’umanità si nutre in epoca moderna è profondamente cambiato. Sempre più spesso le abitudini quotidiane del mangiare, a tavola e no, include cibi industriali confezionati, comodi e a lunga conservazione. Questi prodotti, caratterizzati da un elevato grado di trasformazione, vengono definiti “ultra-processati”. Ovvero alimenti realizzati con ingredienti molto modificati, arricchiti con additivi e spesso privi di molte componenti nutritive naturali.
Un alimento diventa ultra-processato quando, oltre a essere trasformato, viene arricchito con sostanze come zuccheri raffinati, oli vegetali molto raffinati, farine raffinate, additivi (conservanti, emulsionanti, aromi, coloranti) per migliorarne sapore, consistenza, durata e appetibilità. Il processo che porta a un ultra-processato non è una semplice cottura o conservazione, ma comporta modifiche strutturali e compositive molto profonde rispetto al cibo nella sua forma naturale o minimamente lavorata.
Al contrario, alimenti non-processati o minimamente trasformati come frutta, verdura, cereali integrali, carni fresche mantengono una struttura naturale e contengono fibre, micronutrienti, oli essenziali e componenti biologiche complesse, che svolgono un ruolo cruciale per la nostra salute. Quando si assume una dieta composta in larga misura da ultra-processati, il corpo e in particolare il sistema digestivo subiscono una serie di effetti negativi.
Questi cibi, preparati e confezionati per essere morbidi, gustosi e facili da consumare, richiedono poca masticazione. Una volta ingeriti, vengono rapidamente digeriti e assorbiti nello stomaco e nell’intestino tenue, generando spesso picchi glicemici. Con un rapido aumento e successivo calo della glicemia e con un altrettanto veloce senso di fame: condizioni che favoriscono un consumo eccessivo di calorie.
Allo stesso tempo, la mancanza di componenti come fibre alimentari e strutture “complesse” riduce di molto la “materia” che arriva fino al colon, privando di nutrimento il microbiota intestinale. Cioè quell’insieme di microorganismi che vive nel nostro intestino e svolge funzioni vitali. Come produzione di molecole protettive, vitamine, acidi grassi benefici, modulazione del sistema immunitario e dell’infiammazione, supporto al metabolismo, comunicazione con il cervello e molto altro.
Quando il microbiota non viene adeguatamente nutrito — come può accadere con una dieta basata su ultra-processati — si può verificare una sua alterazione (disbiosi), con conseguenze negative per la salute intestinale e sistemica: aumento del rischio di disturbi digestivi, infiammazione cronica, alterazioni metaboliche, e, secondo dati consolidati della ricerca, possibili aumenti del rischio di malattie gravi.
Le evidenze epidemiologiche mostrano che un consumo elevato e continuativo di alimenti ultra-processati è associato a un aumento del rischio di sovrappeso, obesità, diabete di tipo 2, e malattie metaboliche. Alcuni studi rilevano anche un legame con disturbi cardiovascolari, alterazioni del metabolismo lipidico, problemi legati al sonno e alla salute mentale.
Inoltre, un’alimentazione di questo tipo sembra promovuovere un’alterazione del microbiota intestinale con possibili effetti negativi a lungo termine: una minore produzione di molecole protettive, un’aumentata vulnerabilità dell’intestino e — in una visione più ampia — un maggiore rischio di patologie croniche, potenzialmente anche di carattere oncologico.
La diffusione degli alimenti ultra-processati è strettamente legata ai cambiamenti sociali, economici e culturali degli ultimi decenni. La transizione da società rurali e agricole a società urbane e industrializzate ha ridotto drasticamente il numero di persone impegnate nella produzione di cibo “a monte”. Oggi la maggior parte degli alimenti è prodotta, trasformata, confezionata e distribuita da industrie.
I vantaggi di questi prodotti — prezzo basso, lunga conservazione, facilità di trasporto e consumo, marketing aggressivo — li rendono particolarmente accessibili e appetibili a fasce ampie della popolazione, comprese quelle con reddito modesto oppure con poco tempo per cucinare. Questo ha portato a una dipendenza crescente da questi alimenti, sostituendo progressivamente la dieta tradizionale fatta di cibi freschi e naturali.
Non tutti gli alimenti trasformati sono tossici o “cattivi”: il grado di trasformazione, il contenuto nutrizionale e la frequenza con cui vengono consumati fanno la differenza. Ma occorre essere consapevoli. Quando la dieta quotidiana si basa prevalentemente su alimenti ultra-processati, si rischia di compromettere la salute sul lungo termine.
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